Sagittarius A entrare nella mente di DIO

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Mimmo Antares
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Sagittarius A entrare nella mente di DIO

Messaggio da Mimmo Antares »

"Sagittarius A*, la sua immagine ci fa entrare nella mente di Dio"

Parla Mariafelicia De Laurentis, la deputy project scientist del programma che svelato la prima foto di Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea

“Entrare nella mente di Dio, capire la sua creazione: è sempre stato questo il mio obbiettivo”. Risponde così Mariafelicia De Laurentis a chi le chiede che cosa l’abbia avvicinata allo studio dell’Universo. Dichiarazione quantomeno ambiziosa se a farla non fosse lei: napoletana cresciuta ad Acerra, classe 1982, De Laurentis è la deputy project scientist del programma che, qualche giorno fa, ha regalato al mondo la prima immagine di Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea, la nostra galassia. Nel 2019 aveva contribuito a ottenere anche “l’immagine del secolo”, la prima in assoluto di un buco nero: quello al centro della galassia M87.

Laureata in Fisica alla Federico II di Napoli con specializzazione in astrofisica relativistica, De Laurentis ha proseguito i suoi studi al Politecnico di Torino, dove ha vinto il premio come migliore dottoranda dell'ateneo.. Dopo tre anni di insegnamento in Siberia, si è trasferta a Francoforte, da dove, con il suo team di ricerca, dal 2017 aspettava i risultati resi pubblici la scorsa settimana. La conferma, cioè, che l’oggetto massivo e supercompatto già individuato al centro della nostra galassia fosse un buco nero, e dalla massa già nota grazie agli studi meritevoli di Nobel nel 2020 della statunitense Andrea Ghez e del tedesco Reinhard Genzel.

Una prova della cui importanza abbiamo chiesto conto a lei, che confessa di non avere mai voluto un lavoro ordinario: “Volevo lasciare un segno per l’eterno, fare in modo che i posteri trovassero il mio nome fra le pagine di un libro capace di cambiare le cose”. Sarebbe arrogante dire se l’obbiettivo sia stato raggiunto, ma intanto De Laurentis è stata fra le prime persone a vedere con i propri occhi un’immagine, questa di certo, per alcuni aspetti già storica.


De Laurentis, anzitutto qual è stato il suo ruolo nella ricerca che ha portato a vedere Sagittarius A*?
“Sono deputy project scientist e il mio compito, insieme con il project scientist (Geoff Bower) e il project director (Huib Jan van Langevelde) è quello di ‘guidare’ la collaborazione, delineare le strategie di ricerca, decidere le future osservazioni e lo sviluppo delle varie attività scientifiche. In più, faccio parte dello Science Council nel quale coordino e do input sull’attività teorica.

Sono anche la coordinatrice della pubblicazione sui test di gravità e del gruppo Gravitational Physics Inputs. insieme con la collega Lia Medeiros”.

Gira voce sia stata lei a vedere per prima Sagittarius A*, è così?
“Non proprio, nel senso che non sono stata l’unica a vederle l’immagine. Insieme con tutti i coordinatori di questa ricerca abbiamo avuto il privilegio di vedere i primi risultati, essendo noi i principali ‘artefici’ del progetto”.

Ci aiuti a fare chiarezza: sapevamo già che nella nostra galassia ci fosse un oggetto massivo e supercompatto, ne conoscevamo anche la massa: qual è la novità?
“La novità è che abbiamo una prova diretta dell’esistenza di questo oggetto. Ma il punto cruciale è che i risultati dalle nostre nuove misurazioni di Sagittarius A* forniscono ulteriore evidenza che i buchi neri astrofisici, indipendentemente dalla loro massa, sono descritti da soluzioni della teoria di Albert Einstein”.

Potrebbe spiegare?
“Poiché M87* è 1.500 volte più massiccio ma duemila volte più lontano di Sagittarius A*, i due appaiono più o meno della stessa dimensione nel cielo. Nonostante sembrino quasi identici, sono però completamente diversi. M87* vanta una massa di sei miliardi di soli ed è di dimensioni gigantesche. Il nostro intero sistema solare si adatterebbe all'interno del suo orizzonte degli eventi, noto anche come punto di non ritorno di un buco nero.

Sagittarius A*, che si trova a soli 27mila anni luce dalla Terra, è esiguo in confronto. Con quattro milioni di masse solari, è abbastanza piccolo da adattarsi all'orbita di Mercurio, il pianeta più vicino al Sole. Se i due buchi neri fossero allineati per un servizio fotografico, M87* riempirebbe il fotogramma, mentre Sagittarius A* scomparirebbe del tutto.

C’è un’altra differenza importante: mentre M87* divora voracemente la materia circostante, forse stelle intere, e lancia un getto di particelle energetiche che illumina la sua galassia, l'appetito di Sgr A* è, per così dire, minimo; secondo i ricercatori, se fosse una persona, consumerebbe l'equivalente di un chicco di riso ogni milione di anni. Una delle previsioni fondamentali della teoria della gravità di Einstein è che l'immagine di un buco nero scali solo con la sua massa. Un buco nero con una massa mille volte più piccola di un altro avrà un'immagine molto simile, che semplicemente sarà mille volte più piccola. Lo stesso non vale per altri oggetti”.

Cioè?
“Non è un caso se le piccole cose sembrino molto diverse da quelle grosse: c'è una buona ragione per cui una formica e un elefante hanno un aspetto differente, dato che uno ha molta più massa da sostenere rispetto all'altra. Detto altrimenti, in natura le leggi di scala impongono che, quando due entità sono di dimensioni molto diverse, in genere sembrino diverse. Al contrario, i buchi neri si ridimensionano senza cambiare il proprio aspetto: se fossero elefanti, sembrerebbero tutti e comunque elefanti, sia quelli effettivamente grossi, sia quelli piccoli come una formica.

La loro estrema semplicità è ciò che rende le due immagini del buco nero così importanti, perché confermano ciò che finora era stato previsto solo dalla teoria: i buchi neri sembrano essere i soli oggetti esistenti a rispondere a un’unica legge di natura: la gravità. Il fatto che la luce appaia come un anello, con l'ombra nera all'interno, dice che è puramente gravità. È tutto previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein, l'unica nel cosmo a cui non interessa la scala”.

Avete osservato il buco nero con una tecnica che coinvolge diversi osservatori di tutto il mondo, la Very Long Baseline Interferometry: può descrivercela? Risulta siano stati coinvolti otto radiotelescopi e più di 300 fra ricercatori e ricercatrici, è giusto?
“Esatto. Le osservazioni dell’Event Horizon Telescope (Eht) sono state possibili grazie alla tecnica nota come ‘interferometria radio a lunga distanza’ (o Vlbi) che sincronizza, con orologi atomici, le strutture dei telescopi in tutto il mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per creare un osservatorio enorme, perché quanto più grande è il disco di un telescopio, tanto maggiore è il contrasto dell’immagine. Con questa tecnica abbiamo disposto di un telescopio di dimensioni pari a quelle della Terra, capace di guardare a una lunghezza d’onda di 1,3 mm (corrispondente a una frequenza di circa 230 GHz). La tecnica Vlbi ci ha permesso di raggiungere una risoluzione angolare di 20 micro secondi d’arco.

Per dirla semplice, abbiamo dato vita a uno strumento fondamentalmente nuovo e con il più alto potere risolutivo angolare mai raggiunto. Un livello di dettaglio tale da permetterci di leggere una pagina di giornale a New York da un caffè sul marciapiede di Napoli.

Ognuno dei telescopi coinvolti nella misura ha prodotto enormi quantità di dati (circa 350 terabyte al giorno), che sono state archiviate su dischi rigidi a elio e ad alte prestazioni. Questi dati sono stati trasferiti a supercomputer altamente specializzati, noti come correlatori, al Max Planck Institute for Radio Astronomy e al Massachusetts Institute of Technology MIT Haystack Observatory per essere combinati. Sono stati poi convertiti in un'immagine utilizzando nuovi strumenti computazionali sviluppati dalla collaborazione”.

Perché è importante avere ottenuto questa immagine?
“Essendo il nostro buco nero supermassiccio più vicino, Sagittarius A* può essere studiato in modi che non sono possibili per altre sorgenti. Questo lo rende un laboratorio unico per esplorare l'astrofisica dei buchi neri e testare come si comporta la gravità a scale così ‘vicine’ all’orizzonte degli eventi.

È un perfetto ambito di test per conoscere i campi gravitazionali più intensi, cioè per confermare o escludere le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate accanto alla relatività generale, e quindi comprendere meglio alcuni scenari dell’evoluzione stellare. Va ricordato, in effetti, che quella di Einstein potrebbe non essere la teoria finale dell’universo, che forse dobbiamo ancora scoprire.

Le misurazioni hanno aperto una nuova finestra sullo studio dei buchi neri e sul loro ruolo nel nostro Universo. I buchi neri e in particolare la vicinanza degli orizzonti degli eventi stanno diventando sempre più un banco di prova osservativo per la fisica gravitazionale. C’è poi una sorprendente e inattesa ragione perché i buchi neri sono considerati importanti: la loro centralità nella ricerca di una connessione tra la meccanica quantistica e la gravità. Direi, dunque, che i buchi neri sono il palcoscenico perfetto per capire come ottenere una teoria capace di spiegare fenomeni ancora incompresi”.

Il fatto che Sagittarius A* sia un buco nero quali indicazioni dà rispetto alla storia della nostra galassia?
In ambito astronomico e astrofisico, i decenni recenti sono stati rivoluzionari [punto sul quale si è soffermata anche l’astrofisica Patrizia Caraveo in questa nostra intervista, ndr]. Oggi siamo in grado di ricevere informazioni in tutte le possibili frequenze della radiazione elettromagnetica, che oltre alla luce visibile includono raggi gamma e raggi X, radiazioni ultraviolette, infrarosse e onde radio. Anche la sensibilità delle osservazioni è aumentata notevolmente. Per conseguenza la nostra visione dell'universo cambia.

L’importanza di questo risultato non è soltanto legata all’osservazione diretta di un altro oggetto astrofisico, ma è una prova della correttezza della nostra comprensione delle proprietà dello spazio e del tempo in campi gravitazionali estremamente forti. La prima cosa che la foto suggerisce è che siamo sulla strada giusta per comprendere cosa sono veramente i buchi neri e, nel caso specifico, perché e come si formano al centro delle galassie. Ancora più importante è comprendere come interagiscono sulla formazione ed evoluzione della struttura stessa della galassia ospitante.

Il nostro risultato ci incoraggia a utilizzare la stessa tecnica per studiare altre masse simili nell’Universo. Più in particolare, con i dati in nostro possesso, si potranno esplorare altri luoghi nei quali si trovano i buchi neri. È un’occasione senza precedenti.

Spesso l’astrofisica è percepita come un ambito di indagini lontano, se non avulso, dal nostro quotidiano: perché l’evidenza da voi trovata del buco nero è invece importante per la conoscenza in assoluto? Perché scoperte come queste dovrebbero interessare tutti?
“Dal punto di vista tecnologico, le ricadute pratiche delle scoperte scientifiche di solito si vedono dopo qualche anno. Per esempio, gli studi di astronomia X hanno portato ai rivelatori usati per la sicurezza negli aeroporti, oppure ad applicazioni mediche di diagnostica fine. In questo caso mi aspetto che molte delle soluzioni tecnologiche utilizzate per lo strumento avranno una ricaduta sulla società.

Di certo il trattamento di grandi moli di dati, i cosiddetti big data, è di importanza sempre più vasta, ma anche la capacità di assegnare un tempo alle singole misure con una precisione altissima potrebbe avere in futuro un impiego in qualche altra attività quotidiana. Altro esempio: alcuni dei nostri tools creati per l’imaging sono stati utilizzati nel campo della medicina. Sono infinite le applicazioni provenienti dagli studi astrofisici che, ogni giorno, hanno una ricaduta sulla nostra vita”.

Lei ha lavorato a entrambi i progetti: perché, sebbene sia molto più vicino a noi, è stato molto più difficile ottenere l’immagine di Sagittarius A* rispetto a quella del buco nero al centro di M87?
“Abbiamo dovuto affrontare sfide non facili. Sebbene complesso, lavorare all’immagine di M87 è stata una passeggiata rispetto a Sagittarius A*. Perché? Nonostante Sgr A* sia più vicino a noi, la nostra visuale è oscurata da gas, plasma e polvere, che disperdono le onde radio provenienti dalla regione attorno.

Siamo in una posizione di svantaggio, perché siamo nella stessa galassia, su uno dei bracci della spirale, e tra noi e Sagittarius A* c’è il cosiddetto mezzo interstellare, che complica la situazione. Questo effetto di dispersione è molto meno pronunciato per M87. Un’ulteriore e importante complicazione dei dati di Sgr A* è che la sorgente è variabile su tempi scala dei minuti, per cui mentre la osserviamo, la sorgente cambia sotto i nostri occhi e questo complica molto l’analisi dei dati. Questo è dovuto al fatto che il gas intorno a Sagittarius A* impiega pochi minuti per completarvi un’orbita attorno. Il buco nero al centro della galassia M87, invece, è molto più grande e il gas, che si muove alla stessa velocità (prossima a quella della luce) attorno a entrambi i buchi neri, impiega giorni o addirittura settimane per orbitargli intorno: era dunque un target più stabile e quasi tutte le immagini, catturate nella stessa settimana, avevano lo stesso aspetto.

Non è accaduto lo stesso per Sagittarius A*: i dati raccolti durante una notte di osservazione, quelli poi utilizzati per elaborare l’immagine finale, includono un intervallo di tempo in cui la sorgente è cambiata fino a un centinaio di volte. Per far fronte a questa variabilità e capirne meglio l’aspetto fisico, abbiamo dovuto sviluppare nuovi strumenti, in grado di risolvere problemi per molti versi nuovi nell’analisi dei dati radioastronomici, e abbiamo prodotto milioni di immagini con diverse combinazioni di parametri per i vari algoritmi di imaging, usando grandi infrastrutture di calcolo.

Questo spiega non solo il tempo impiegato per la pubblicazione, cioè cinque anni dopo l’acquisizione dei dati, ma anche perché la sorgente appaia meno simmetrica e circolare rispetto a M87*: l’apparenza quasi mossa e più sfocata rispetto alla foto di M87* è dovuta al fatto che l’immagine del buco nero pubblicata è una media delle tantissime e diverse immagini prodotte”.

La forma a ciambella sembra suggerire che la materia intorno al buco nero non stia ruotando allineata con il piano della galassia, ma in modo perpendicolare. Come se un ipotetico asse di rotazione del buco nero fosse rivolto verso di noi. Non è una geometria insolita
“Forse la domanda più difficile: le nostre simulazioni hanno un certo numero di gradi di libertà legati alla non precisa conoscenza delle regioni più prossime al buco nero. Anche fissata la massa, che in questo caso è molto precisa, non sappiamo quali siano lo spin del buco nero, l’inclinazione del piano di accrescimento, le energie degli elettroni che producono la radiazione osservata. Abbiamo quindi simulato una grande quantità di modelli e via via filtrato quelli compatibili con le osservazioni astronomiche.

Alla fine di questo processo è rimasta una classe molto ristretta di modelli pienamente compatibile con tutte le osservazioni: sono quelli con campi magnetici molto intensi, che noi chiamiamo “Magnetically Arrested Accretion Disks”, o Mad.

C’è da dire che questo tipo di modelli è caratterizzato da uno spin positivo (cioè rivolto verso di noi) e alto (dell’ordine di uno, il valore massimo) e con un disco di accrescimento che sembra essere inclinato intorno ai 30 gradi. Per ora non possiamo dire se il disco sia allineato al piano galattico, perché le nostre stime sono teoriche e non il risultato di una vera misura (infatti non abbiamo ancora messo limiti sullo spin del buco nero). D’altra parte, bisogna ricordare che, da un punto di vista dinamico, il buco nero ha una massa piccola rispetto a quella dell’intera galassia, pari a centinaia di miliardi di masse solari”.

A proposito, si sa quanto sia cresciuto o cresca Sagittarius A*?
“Se consideriamo i modelli Mad come indicativi, abbiamo che il tasso di accrescimento è intorno a 10−9–10−8 masse solari/su anni e una potenza di deflusso di ∼ 1038 erg/s, che è paragonabile alla luminosità bolometrica di buchi neri di massa stellare nei raggi X binari”.

Ci aiuti a capire: a chi, timoroso di qualche effetto del buco nero sulla nostra galassia, si aspettasse inghiottimenti catastrofici, che cosa risponde?
“Di stare tranquillo: Sagittarius A* è troppo lontano e la sua influenza gravitazionale è solo una piccola frazione di quella esercitata da tutte le stelle tra noi e il centro di la galassia. Ciò detto, può comunque fornirci spunti sulla natura dello spazio e del tempo”.

Da quanto lavorava all’analisi delle osservazioni?
“Sono entrata a far parte di questa collaborazione nel 2014. Ero a una conferenza in Germania e ho incontrato alcuni colleghi che avevano appena vinto un ERC Sinergy Grant di 14 milioni di euro per allestire, insieme con gli americani, il grande progetto di “fotografare” i buchi neri. A una prima impressione, sembrava una cosa quasi impossibile, ma una bella sfida. Amando le sfide, mi sono trasferita a Francoforte, dove ho potuto lavorare con tanti altri esperti. Da qui al 2017 ci siamo preparati producendo modelli e codici nell’attesa di ottenere i primi dati della prima campagna osservativa da analizzare e interpretare. Questa avventura è iniziata in quel momento e ancora deve finire”.

Oltre alle osservazioni pubblicate, ce ne sono molte altre già fatte ma ancora da analizzare: che cosa si aspetta, o che cosa vorrebbe trovare, nei nuovi dati?
“Abbiamo iniziato ad ampliare la rete di radiotelescopi e questo ci consentirà di avere una migliore risoluzione e quindi vedere con maggiore precisione le sorgenti. Oltre a utilizzare radio telescopi già esistenti inizieremo a costruirne di nuovi. In più, stiamo pensando a una rete di radiotelescopi formata da satelliti in orbita attorno alla Terra, capaci di restituire immagini cinque volte più nitide.

Sono in corso di analisi le osservazioni del 2018 e del 2021 e nel frattempo sono state condotte nuove osservazioni nel 2022 in aggiunta al set di dati. Stiamo pianificando nuove osservazioni nei prossimi anni. La nostra capacità di osservazione è notevolmente migliorata dopo il 2017, quindi abbiamo grandi aspettative per ciò che troveremo in questi dati.

Sagittarius A* ed M87* rimangono i nostri obiettivi più importanti. Oltre a studiarne i campi magnetici circostanti, uno dei prossimi grandi obiettivi scientifici sarà comprendere come essi cambino ed evolvano nel tempo. Le ripetute osservazioni di Sgr A* e M87* sono fondamentali per dimostrare che le loro caratteristiche primarie rimangono costanti nel tempo, come previsto dalla relatività generale. Le differenze osservate possono fornire indizi importanti sulla natura dei dischi di accrescimento e dei getti relativistici. Prevediamo anche di produrre le prime immagini della magnetosfera che circonda Sagittarius A* da questi dati.

Infine, stiamo anche cercando pulsar in orbita attorno a Sagittarius A* utilizzando dati Eht: questi ultimi sono particolarmente sensibili alle stelle di neutroni che pulsano rapidamente nel centro galattico a causa della sua elevata sensibilità al millimetro lunghezze d'onda. Una pulsar in un'orbita di breve periodo fornirebbe alcune delle prove più forti della relatività. Il viaggio, appunto, continua.

A proposito di gravità, sembra lei sia attratta in maniera irresistibile dai suoi studi…
“È così: c’è una frase di Martin Luther King, nel libro La forza di amare, che mi accompagna nella vita e sulla quale si fonda la mia filosofia: ‘Se non potete essere il sole, siate una stella; non con la mole vincete o fallite - Siate il meglio di qualunque cosa siate. Cercate ardentemente di capire a cosa siete chiamati e poi mettetevi a farlo appassionatamente’.

https://www.repubblica.it/tecnologia/20 ... -P11-S3-T1
Mimmo Scagliusi >>> SOS-CASA
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Anche radioamatore: IW7EGH
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